Certo, per celebrare l'Eucaristia come si deve ci vogliono
raccoglimento e devozione. La messa — nei giorni festivi come nei giorni feriali — è sempre una cosa
seria. È sempre memoriale della morte e risurrezione del Signore, «azione
sacra per eccellenza», come dice il Concilio (Costituzione sulla liturgia, 7).
Il fatto di celebrare l'Eucaristia anche tutti i giorni non deve assolutamente
offuscare in noi preti la coscienza del mistero più grande di noi, che si
compie attraverso i nostri gesti e le nostre parole.
«Age
quod agis», dicevano i Romani come regola generale di comportamento. Che,
tradotto in saggezza piemontese, suona: « Varda lòn che 't fai!», come
mi son sentito dire tante volte a casa mia da bambino... e anche dopo: bada a
ciò che stai facendo.
Se questa regola vale in ogni circostanza, vale ancora di più quando «diciamo
messa». Ma è proprio l’«attenzione» a ciò che si sta facendo, è proprio la
chiara consapevolezza di ciò che significa «dir messa» a non permettere al
sacerdote di isolarsi in se stesso quando celebra l'Eucaristia, se vuole
svolgere veramente bene il suo ministero.
Si suppone, infatti, che normalmente il prete non sia
solo, quando celebra la messa: poche o tante che siano, normalmente sono
presenti con lui altre persone. Queste altre persone non devono semplicemente «assistere» a un rito
che compie il prete. E non è neanche sufficiente dire che devono «parteciparvi»,
ma sempre partendo dall'idea che, in fondo, «è il prete che dice messa»: la
partecipazione della gente avverrebbe soltanto come un «di più», come un
elemento aggiunto dal di fuori al rito - di per sé autonomo e autosufficiente
- compiuto dal sacerdote.
Per dirla in parole semplicissime: è necessario che tutti
quanti - sacerdoti e fedeli - ci abituiamo a pensare alla messa non come un
rito che fa il prete, ma come una preghiera che si fa tutti insieme, sotto
la guida del sacerdote. Una preghiera-azione ( = una «celebrazione») che
coinvolge insieme il sacerdote e tutti i presenti (non importa se pochi o
molti) in un rapporto così profondo, da essere come le diverse membra di un
unico corpo quando si compie un'azione impegnativa contemporaneamente sul
piano fisico e su quello spirituale.
La messa si fa insieme: il sacerdote con i fedeli,
i fedeli con il sacerdote. Compito del sacerdote non è quello di «isolarsi»
dalla gente (sia pure con la buona intenzione di un più profondo raccoglimento),
ma quello di «immedesimarsi» nell'assemblea presente, sentirsi una cosa sola
con tutti e farsi carico della preghiera di tutti, diventarne animatore e
interprete. Questo significa «presiedere l'assemblea».
Punto di riferimento principale del sacerdote nel
celebrare la messa non deve essere il messale, ma i fedeli presenti. «II Signore sia con
voi» è un saluto e un augurio vero: si dice guardando in faccia i «voi»
a cui ci si rivolge, non tenendo gli occhi incollati al messale! E la stessa
cosa vale anche quando si usano le formule più lunghe proposte dalla nuova
edizione del messale (pagine 293-294)... magari con un piccolo sforzo di
memoria!
In un modo o nell'altro, in tempi vicini o in tempi
lontani, tutti noi preti abbiamo «imparato a dir messa». Forse però abbiamo ancora molto da
imparare per quanto riguarda «l'arte di presiedere le assemblee liturgiche» —
come ci ricordano i nostri Vescovi — «al fine di renderle vere assemblee
celebranti, attivamente partecipi e consapevoli del mistero che si compie»
(Commissione episcopale per la liturgia, « II rinnovamento liturgico in Italia
», n. 7).